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Timbri fai da te: mini guida agli eraser stamp

Eccomi qui con un nuovo post sui timbri fai da te.

 

Abbiamo già esaminato insieme i vari tipi di gomma da intaglio che ho provato personalmente focalizzando l’attenzione sul fatto che non essendo prodotti in Italia questi materiali sono abbastanza costosi. Ma se volete realizzare dei timbri fai da te senza spendere troppo c’è un altro modo per iniziare, molto facile ed economico: gli eraser stamp. Molte artiste, illustratrici e designer infatti, come ad esempio la mitica Ishtar Olivera ma anche la già citata Gennine Zlatkis, utilizzano le gomme da cancellare per intagliare i propri timbri ottenendo dei risultati in alcuni casi straordinari.

 

La gomma da cancellare, soprattutto se non contiene Pvc, è un materiale fantastico da intagliare. Liscio, facilmente lavorabile e abbastanza alto da poter essere inciso senza rompersi. Ovviamente non sto parlando delle gomme pane, quelle per il disegno artistico, che sono troppo porose e si sfaldano subito se intagliate con le sgorbie.

 

L’unico inconveniente degli eraser stamp è la superficie che possiamo riservare all’intaglio, molto piccola rispetto a un qualunque blocco pensato specificamente per questo scopo. Bisogna progettare il disegno di partenza in modo diverso, pensandolo come una composizione di parti molto piccole che potremo incidere in varie gomme da cancellare, oppure riservare agli eraser stamp progetti differenti la cui realizzazione non richieda superfici molto ampie.

 

Io ho provato a intagliare due tipi di gomme da cancellare: le tedesche Staedtler 525 B e le danesi prodotte da Flying Tiger.

 

Il materiale delle tedesche è decisamente favoloso da lavorare, bianco, compatto, liscio. L’unico problema è che in molte varietà di gomme la Staedtler incide il marchio in superficie quindi occhio perché in questo caso sono impossibili da utilizzare!

 

Per quanto riguarda invece le gomme di Flying Tiger, sono in assoluto le mie preferite e ne ho sempre una scorta enorme a casa. Sono economiche ma la cosa che le rende uniche è la loro taglia. Rispetto alle normali gomme da cancellare che si trovano nelle cartolerie sono più grandi e quindi sono anche più semplici da lavorare e più facilmente adattabili ai vostri disegni e progetti. Siccome vengono vendute in imballi di carta che ne coprono buoni tre quarti, fate attenzione quando scegliete il lato da intagliare perché molte volte ne portano il segno e questo comprometterebbe la buona riuscita del timbro.

 

E voi? Avete già provato a intagliare degli eraser stamp? Raccontatemi le vostre esperienze e i vostri dubbi. Alla prossima!

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Timbri fai da te: guida alla scelta delle sgorbie

 

Bentrovate nel mio blog. Oggi vorrei condividere con voi un altro post sui timbri fai da te focalizzato sulla scelta degli attrezzi che si usano per intagliarli: le sgorbie.

 

Le più diffuse sono sicuramente quelle della Speedball. Sono abbastanza economiche (costano intorno ai 15 euro) e si trovano facilmente anche su Amazon.it. Nel manico ergonomico in plastica si nasconde uno scomparto che contiene cinque punte da intaglio di diverse misure e forme che si possono cambiare inserendole nella ghiera a seconda della fase di lavoro che state affrontando mentre intagliate i vostri timbri fai da te.

 

Il set di sgorbie che invece tutte le crafters che intagliano timbri fai da te (ma anche e a maggior ragione sul linoleum) desiderano è il set C della Pfail. Questo set di sei sgorbie è prodotto in Svizzera. Ognuna di esse ha un manico ergonomico in legno e punte di diversa forma e grandezza a seconda della necessità. La loro precisione è leggendaria e il loro prezzo è decisamente un investimento poiché costano intorno ai 120 euro e non potete comprarle su Amazon.it. Insomma sono un set deluxe, un prodotto top che usano le più grandi intagliatrici, da Viktoria Astrom a Linda Cote.

 

La teoria di base però è sempre la stessa. Le punte delle sgorbie si dividono in due macrocategorie: le cosiddette U gouges, o punte a U, che servono per eliminare le aree più grosse della gomma e le V gouges, o punte a V, che servono per intagliare invece i dettagli e i contorni dei vostri timbri in gomma.

Se prendiamo ad esempio le sgorbie della Speedball, nel set che viene usato più comunemente, ci sono come vi dicevo cinque punte.

 

Con la punta numero 1, la V gouge più piccola, si affronta la prima parte del lavoro intagliando i contorni della figura.

 

Con la punta numero 2, anch’essa una V gouge, si ripassano i contorni già intagliati per renderli più definiti.

 

Con la punta numero 5, l’unica U gouge presente in questo set, si eliminano le aree più grossolane della gomma.

E il gioco è fatto.

 

Le due restanti punte sono la numero 3, una V gouge piuttosto grossa che io non uso volentieri, e la punta a coltello che, se intagliate il linoleum può essere utile per le rifiniture.

L’unica cosa un po’ noiosa è che se possedete una sola sgorbia dovete cambiare spesso le punte in base alla fase di lavoro in cui vi trovate ma essendo molto economica potete decidere di comprarne più d’una e lasciarle montate con le punte che usate di più.

Il punto di forza invece di questo set della Speedball è che potete anche comprare solo le punte quando si saranno sfilate mentre le sgorbie della Pfeil, o similari, vanno rifilate a mano.

Spero di esservi stata utile con questo post sulla scelta delle sgorbie per i vostri timbri fai da te!

Se avete esperienze diverse dalla mia lasciatele nei commenti, non vedo l’ora di confrontarmi con voi!

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Timbri fai da te: guida alla scelta della gomma

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Ciao a tutte! Bentornate nello spazio del mio blog dedicato ai timbri fai da te.

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Oggi vorrei fornirvi qualche consiglio pratico sui materiali e ho pensato di creare una piccola guida alla scelta della gomma da intaglio.

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Purtroppo, mettetevi l’anima in pace, procurarsela non è semplice e soprattutto non è economico. La gomma da intaglio non si produce nel nostro Paese poiché mentre negli Stati Uniti questa tecnica è piuttosto diffusa, in Italia è arrivata da poco e trovare i materiali per dei timbri fai da te è ancora difficile e soprattutto costoso.

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La gomma da intaglio va ordinata all’estero. Io la compro su Amazon.it e su Etsy.

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Su Amazon.it si trova facilmente la Speedy carve, una gomma da intaglio rosa fabbricata dalla Speedball, brand americano di prodotti d’arte nato nel New Jersey nel 1899, che ha il vantaggio di essere molto morbida e facilmente lavorabile. Purtroppo però ha un prezzo davvero poco competitivo visto che un blocco 7,6×10,2 cm costa 7 euro.

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Su Amazon.it altrettanto facilmente si trova anche la Moo Carve, della Ntct Inc, azienda coreana, che però ha anch’essa il suo bel costo. Per 9 euro circa si ha un blocchetto bianco di circa 10×15 cm. La gomma è molto più dura e la superficie da intagliare non è liscia.

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Decisamente più economica è la gomma da intaglio della ditta inglese Essdee. Si chiama Mastercut e due blocchi 30×20 cm costano su Amazon.it circa 10 euro. Peccato però che questa gomma sia molto sottile, solo 4 mm, e sia praticamente impossibile da intagliare. La superficie è ruvida, si sgrana quando viene lavorata con le sgorbie, i dettagli vanno quasi del tutto persi. Probabilmente può essere usata con il cutter solo per incidere forme piene e poco dettagliate.

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Se passiamo a Etsy poi, a farla da padroni per la rivendita della gomma per i timbri fai da te sono gli orientali. I prezzi sono comunque molto alti, bisogna anche pagare delle spese di spedizione molto onerose rispetto al costo della gomma, e ci vuole molto tempo per la consegna (circa un mese).

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La gomma orientale comprata su Etsy può essere bianca o colorata e viene venduta o in blocchi 10×15 o 5×5. A causa del lungo viaggio che deve affrontare, l’imballo che l’avvolge può lasciare dei segni sulla sua superficie. Questi segni si vedono quando si stampano i timbri fai da te e sono brutti davvero. La gomma orientale è molto dura rispetto alla Speedycarve, è difficile da intagliare con le sgorbie ma è di sicuro meglio della Essdee. Se siete principianti, non iniziate con questa, vi scoraggereste immediatamente.

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La gomma migliore che io abbia usato però è americana e l’ho comprata su Amazon.com. Ha il caratteristico aspetto a “sandwich”. Lo strato centrale è bianco e i due strati esterni più sottili sono colorati. Questo consente di avere immediatamente la sensazione di come risulterà la vostra incisione una volta finita e vi dà la possibilità di correggervi mentre state lavorando se qualcosa non vi convince… Purtroppo anche questa costa molto e i tempi di spedizione sono lunghissimi.

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Se poi avete la fortuna di andare in America di persona, o che qualcuno (amici o parenti che siano) che conoscete ci vada per voi, potete in un qualsiasi Dick Blick store (catena di negozi d’arte statunitense) acquistare la famosissima Readycut che è una gomma da intaglio a due strati molto usata dalle intagliatrici più famose. Se volete saperne di più ve ne parlo qui.

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Per adesso resto dell’opinione che se si ha intenzione di realizzare dei timbri fai da te, lo Speedycarve rimane il materiale migliore per imparare a usare le sgorbie. Poi, una volta presa confidenza con la tecnica, potrete agevolmente passare alle altre gomme, più dure e quindi più difficili da lavorare per ottenere i dettagli che avete in mente.

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Spero di essere stata abbastanza esauriente e che le mie esperienze vi possano essere utili.

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Aspetto i vostri commenti e i vostri dubbi. E se avete provato qualche altro tipo di gomma da intaglio con risultati migliori, fatemi sapere!

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Conciliare maternità e arte secondo Natalia Ginzburg

Conciliare maternità e arte

secondo Natalia Ginzburg.

 

Se la maternità sconvolga a tal punto la vita di una donna da non permetterle più di dedicarsi alla sua arte come avrebbe fatto se non avesse avuto figli, è un argomento a lungo dibattuto almeno a partire dall’inizio del Novecento. Il tema è caldo soprattutto per chi considera l’arte come un lavoro, qualcosa da perseguire con rigore e metodo oltre che lasciandosi trasportare dalla propria ispirazione.


La stessa domanda me la sono posta anch’io infinite volte
mentre la maternità sconvolgeva completamente la percezione che avevo di me, delle mie parole, del mio corpo e del mio tempo. E la risposta non l’ho ancora trovata perché credo che non esista. Quello che esiste sono le esperienze delle persone. Il modo in cui questo momento così significativo e denso della vita viene affrontato, superato, gestito, elaborato dalla singola donna, artista o meno che sia.

Non so se capita anche a voi, ma quando ho un dubbio, oltre che condividerlo con le persone che mi circondano, cerco una risposta nei miei libri. Sono convinta che i libri ci parlino, che dialoghino con noi e che, a seconda della fase della vita in cui li leggiamo o rileggiamo, ci diano delle risposte.

Quando leggevo i suoi romanzi all’Università per scrivere la mia tesi di laurea, quello che mi colpiva di Natalia Ginzburg era il rigore. Questa donna, la cui vita è stata attraversata in maniera durissima dalle vicende della Seconda Guerra Mondiale, dichiarava essenzialmente che la scrittura è un mestiere:

«Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo. Spero di non essere fraintesa: sul valore di quel che posso scrivere non so nulla. So che scrivere è il mio mestiere […] adopero degli strumenti che mi sono noti e familiari e li sento ben fermi nelle mie mani»1.

E più avanti:

«Questo mestiere non è mai una consolazione o uno svago. Non è una compagnia. Questo mestiere è un padrone, capace di frustarci a sangue, un padrone che grida e condanna. Noi dobbiamo inghiottire saliva e lacrime e stringere i denti e asciugare il sangue delle nostre ferite e servirlo. Servirlo quando lui lo chiede»2.

 

Quindi la scrittura è un mestiere, una cosa seria, una cosa che non si può fare “con una mano sola”. Ma come conciliare questo “mestiere” con la maternità?

«E poi mi sono nati dei figli e io sul principio quando erano molto piccoli non riuscivo a capire come si facesse a scrivere avendo dei figli […] m’ero messa a disprezzare il mio mestiere»3.

Ecco, non so voi, ma io questa sensazione la conosco benissimo.

In un’intervista alla Fallaci, la Ginzburg ribadisce il concetto:

«Io per esempio il primo anno che avevo Carlo avevo sempre paura che mi morisse sebbene fosse un bambino floridissimo: e quindi non c’era spazio per scrivere, c’era spazio solo per questo rapporto fra lui e me. Non potevo lasciarlo nemmeno col pensiero»4.

 

E anche questa è una sensazione che trovo estremamente familiare.

Quello che invece mi ha fatto riflettere molto sono le parole della Ginzburg, che di figli ne ha avuti ben cinque, su come è riuscita a riappropriarsi del suo rapporto con la scrittura. Ed è questo il punto della questione, ciò che vorrei condividere con voi.

Ne Le Piccole virtù la Ginzburg dice:

«I bambini mi parevano una cosa troppo importante perché ci si potesse perdere dietro a delle stupide storie, stupidi personaggi imbalsamati. Ma avevo una feroce nostalgia e qualche volta di notte mi veniva quasi da piangere a ricordare com’era bello il mio mestiere […]. Pensavo che l’avrei ritrovato un giorno o l’altro, ma non sapevo quando: pensavo che avrei dovuto aspettare che i miei figli diventassero uomini e andassero via da me. Perché quello che avevo allora per i miei figli era un sentimento che non avevo ancora imparato a dominare. Ma poi ho imparato a poco a poco»5.

La Ginzburg tornò a scrivere mentre preparava ancora “sugo di pomodoro e semolino”:

«Ricominciavo a scrivere come uno che non ha scritto mai, perché era già tanto tempo che non scrivevo, e le parole erano come lavate e fresche, tutto era di nuovo come intatto e pieno di sapore e di odore. Scrivevo nel pomeriggio, quando i miei bambini erano a spasso con una ragazza del paese, scrivevo con avidità e con gioia, ed era un bellissimo autunno e mi sentivo ogni giorno così felice»6.

 

Sempre alla Fallaci diceva a conclusione della sua intervista:

«Poi a poco a poco ho capito che si poteva scrivere lo stesso, bastava trovar l’equilibrio, capisce, trovare requie e spazio negli affetti, capisce. Insomma se uno ha davvero necessità di scrivere, scrive lo stesso. E dire io non mi sposo, io non faccio bambini perché voglio scrivere è sbagliatissimo: creda. Uno non si deve privare della vita sennò a un certo punto si inaridisce e non scrive più niente, lo ricordi»7.

 

E queste sono le parole di una donna che ha affrontato i lutti della Storia contemporanea direttamente sulla propria pelle. Una scrittrice straordinaria, con la sua voce secca, genuina, assolutamente inconfondibile.

«Uno non si deve privare della vita sennò a un certo punto si inaridisce e non scrive più niente». Non so voi ma io quando rileggo questa frase mi sento immediatamente più forte: essere sopraffatte da un sentimento che non si conosce, imparare a dominarlo, tornare al proprio mestiere con lo stesso rigore di sempre ma con qualcosa in più, un’esperienza umanamente stravolgente. Ecco, questo mi pare un percorso assolutamente condivisibile, sostenibile, umano. Il senso di smarrimento si supera e si supera anche la sensazione di non riuscire a dedicarsi alle proprie passioni in maniera rigorosa. Balsamo per i miei occhi, balsamo per il mio cuore e per quello di mia figlia.

E spero possano essere balsamo anche per voi, che con me le avete condivise.


1. N. Ginzburg, Le piccole virtù, Einaudi, Torino, 1962, p. 73.
2. Ivi, p. 88.
3. Ivi, p. 83.
4. O. Fallaci, Gli antipatici, Rizzoli, Milano, 2014.
5. Ginzburg, Le piccole virtù, cit, pp. 83-84.
6. Ivi, p. 84.
7. Fallaci, Gli antipatici, cit.
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La Lettera22 e il logo LaTuaMomis

 

Con amore - la Lettera22 e il logo LaTuaMomis

Avevo forse otto anni. Mio padre si spostava spesso per lavoro e prendeva il treno. Quando non dormiva a casa c’era sempre un certo senso di inquietudine. Io, mia mamma e mia sorella piccola restavamo sole. Insomma, non ci sarebbe successo niente, ovvio. C’era mia mamma e quindi eravamo inattaccabili, però. Decisi di scrivere una poesia. La mia prima. Si intitolava Il treno. Il testo era anche abbastanza lungo ma non credo sia stato conservato. Si trattava di un’invettiva contro quello sbuffante mezzo di trasporto che mi portava via mio padre. Iniziava forse così: “Io odio i treni”. Niente di più che l’espressione dei sentimenti di una bambina. Il fatto è che non la scrissi con la penna. Usai la Lettera 22.

Lettera 22 - la Lettera22 e il logo LaTuaMomisQuella macchina da scrivere l’avevano usata i miei genitori per le loro Tesi. Mio padre si era laureato in Matematica e mia mamma in Storia. Insomma faceva parte del patrimonio di famiglia in un periodo in cui i computer ancora non avevano fatto il loro ingresso nelle case degli italiani. Anni dopo la usai ancora per scrivere il mio primo racconto che venne pubblicato sul giornale della scuola media. L’allora caporedattore ne modificò il finale senza dirmi niente. Il racconto era troppo visionario, eccessivamente surreale. Così lui inserì una riga nella quale si intuiva che si trattava di una storia inventata da una nonna per intrattenere la nipote. Faceva più o meno così: “Ma nonna, cosa dici?”. Comunque.

La Lettera 22 fu poi messa da parte con l’avvento a casa nostra dei primi pc. Delle macchine enormi che funzionavano in Dos. E io scrivevo i miei racconti a penna su dei quaderni e poi li ricopiavo lì. Una volta al liceo avevo scritto tutto un romanzo intero direttamente sul pc e per qualche motivo il file si perse. Disperazione pura. Di quella trama conservo solo qualche appunto preparatorio e niente, niente più. Così ho imparato a fare il backup. Ma questa è un’altra storia.

La Lettera 22 è rimasta in esposizione negli anni in tutte le case che ho cambiato (e ne ho cambiate di case in 40 anni) come oggetto simbolico. I miei genitori ci avevano scritto le loro Tesi di Laurea, io ci avevo scritto la mia prima poesia e il mio primo racconto. La mia vita ha preso le sue pieghe, inaspettate, azzardate, ha scalato le montagne dei miei sogni, li ha realizzati (in tutto o in parte) sostenuta da me, dalla mia famiglia, dalle persone che mi sono state vicino, da quelle che mi hanno voltato le spalle, da quelle che non ci sono più, da quelle che ci sono e sempre ci saranno.

E adesso che la storia d’amore tra me e il lavoro della mia vita è in qualche modo terminata, adesso che sto rialzando la testa per rimettermi in gioco e fare delle mie passioni un lavoro nuovo, non mi è sembrato strano ritornare da lei. La mia Lettera 22. Ho ripulito i suoi tasti incrostati di inchiostro uno per uno. Ci ho messo dentro la carta ed ecco finalmente il logo della mia nuova attività. L’unico possibile. Tornare indietro per andare avanti con la mia Lettera 22 e il logo de LaTuaMomis messi assieme.

Se un giorno dovessi avere dei dipendenti, se la mia attività dovesse in qualche maniera industrializzarsi, il modello a cui guarderei è quello di Olivetti. Con le sue “isole” al posto della catena di montaggio. Con le vetrate che guardano alle montagne al posto dei muri di cemento. Con gli asili nido e la biblioteca aziendali. Con l’idea di mettere al centro le persone con le loro competenze e passioni. Con la sua Lettera 22 progettata da un designer italiano negli anni Cinquanta, esposta al Moma, usata da Pasolini e dalla Plath, e che ancora sta qui sulla mia scrivania. La Lettera 22 e il suo fascino che attraversa gli anni intatto.

Mi pare che in un giallo della Christie, La serie infernale, Poirot riuscisse a identificare l’assassino grazie anche alle peculiarità della sua macchina da scrivere… questo perché ogni macchina da scrivere è particolare, ha dei segni che la contraddistinguono. La mia fa la “a” tutta chiusa come se fosse un segno circolare. È unica, personale. È per questo che se devo firmare qualcosa che sia davvero mio non può essere che attraverso il suo segno grafico. Più che attraverso la mia calligrafia. Perché nei suoi tasti c’è la storia della mia famiglia, la storia della parte buona del mio Paese, di un modello di organizzazione del lavoro assolutamente innovativo e visionario, e il racconto della mia avventura personale, della mia crescita, delle mie passioni. Storia e tradizione, partenza e ritorno. Con amore.

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Intagliare la gomma: una romantica premessa

Intagliare la gommaE quindi quando sono rimasta senza lavoro sono piombata in un mondo fatto completamente di me e mia figlia messe insieme. Tutto è coinciso con l’estate, l’asilo era finito e avevamo davanti due mesi interi tutti per noi. Ho preso armi e bagagli e ci siamo trasferite in un incantato paese di montagna, nella casa che era stata di mia nonna. Non siamo mai rimaste davvero sole, mia mamma è venuta per molto tempo a farci compagnia, si è alternata con mia sorella e poi con il mio compagno. Insomma io pensavo a lei e loro pensavano a me. Uno dei periodi più belli della mia vita, direi, nonostante le preoccupazioni per un futuro incerto mi tormentassero.

Avevo qualche tempo per me, per leggere, pianificare il futuro e guardare il mondo fuori su Internet, solo la sera, dopo che la bambina era andata a dormire. Studiavo già accanitamente con l’idea di mettermi in proprio: business plan, personal branding, piani editoriali, piani di produzione… Fattore mamma, NetworkMamas, C+B, navigavo instancabilmente in Rete alla ricerca di risorse utili al mio nuovo lavoro. Durante le mie peregrinazioni online sono, non mi ricordo nemmeno come, incappata in questo  video  in cui Gennine Zlatkis, una delle mie illustratrici preferite, intaglia un blocco di gomma per trasformarlo in un timbro che ritrae una piuma.

 

È un video in tempo reale, dura tantissimo, non ci sono doppie velocità, solo le mani di questa donna che vive nel New Mexico che pian piano si dedica ad intagliare la gomma con il sottofondo di una chitarra che la accompagna. Il video mi fece innamorare all’istante. Dovevo provare anch’io.

 

Era da così tanto tempo che non facevo qualcosa con le mani che mi sembrava di non ricordare più come si usassero. Non disegnavo da almeno quindici anni, se non venti. Eppure quel video aveva fatto scattare in me qualcosa, mi aveva riportato indietro a una passione che aveva caratterizzato il mio mondo fin da quando ero bambina: il disegno.

 

Certo in ufficio mi occupavo di grafica editoriale, ricerche iconografiche, usavo Photoshop tutti i giorni, ma non era la stessa cosa. Desideravo per la prima volta dopo il parto ritrovare una voce mia che potesse esprimersi accompagnando quella di mia figlia. Desideravo imparare a intagliare la gomma. E così, eccomi alle prese con una serie di problemi tecnici da risolvere. Dove trovare la gomma da intaglio? Quali sgorbie scegliere? Quale inchiostro? Su quale carta timbrare per ottenere l’effetto desiderato?

 

 

Ho iniziato a sperimentare a volte infilandomi in vicoli ciechi altre volte imbroccando la strada che per me era la migliore e provando e riprovando la mia creatività è rifiorita come quando si dà il concime a una piantina messa a riposo per tanto tempo. Adesso non saprei più fare a meno di dedicare delle ore della giornata a questa attività che trovo meravigliosa. Le idee si moltiplicano giorno per giorno e tutto ciò che mi circonda mi è di ispirazione per trovarne di nuove. Ovviamente, come per ogni cosa, ho tanto ancora da imparare e sperimentare e non mi fermerei mai.

 

Nei prossimi mesi vi terrò aggiornate con una serie di post su come intagliare la gomma per ottenere dei timbri da disegni originali direttamente dalla mia bottega così potremo confrontarci e scambiarci dubbi ed esperienze.

 

A presto!

 

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Speciale Diy: timbro in gomma videotutorial

Ciao a tutte! Ecco il primo di una serie di post dal titolo “Speciale Diy”. Oggi parliamo di timbri in gomma. Volete qualche dritta per sapere come farne uno da sole? Ho preparato per voi un video tutorial dove vi mostro la tecnica che uso per intagliare la gomma.

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Volendo partire dalle basi, in commercio esistono almeno un paio di manuali validissimi che indicano la tecnica con cui, da un disegno originale, ricavare dei timbri intagliando la gomma. Si trovano facilmente su Amazon.it. Il primo è Making an impression, scritto da una delle mie illustratrici preferite, Gennine Zlatkis. Se avete problemi con l’inglese però, c’è anche I love stamping, di Ishtar Olivera, che è tradotto in italiano e pubblicato da Il Castello (questo, se vivete in città, potete trovarlo anche in libreria).

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In entrambi questi manuali, molto illustrati e dettagliati, viene spiegata passo passo la tecnica base dell’intaglio, viene fornita una lista degli strumenti che servono per iniziare e ci sono anche dei progetti che possono essere (usando gli inchiostri adatti) realizzati su carta, su stoffa e su altri materiali.

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Io ho iniziato con un set di sgorbie comprate in un negozio d’arte della mia città, utilizzando un blocchetto di gomma comprato su Amazon e da lì non mi sono più fermata. E oggi voglio condividere con voi la tecnica che uso per ottenere un timbro in gomma da un disegno originale attraverso tre videotutorial (li ho divisi in più parti così che possiate concentrarvi sulla parte del lavoro che più vi interessa).

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Ecco gli strumenti necessari per iniziare:

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La tecnica è abbastanza semplice e consiste in tre principali fasi di lavoro:

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1. Preparare e trasferire il disegno

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2. Intagliare la gomma

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3. Inchiostrare e… timbrare, timbrare e timbrare ad libitum!

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Per quel che riguarda la prima fase di lavoro, ci serviranno della carta quadrettata e una matita dalla mina dura (hb va benissimo) per preparare il disegno. La difficoltà di questo passaggio consiste nel fatto di immaginare pieni e vuoti in base al risultato che vogliamo ottenere. All’inizio non è facile pensare in termini di negativo e positivo ma poi, con un po’ di pratica, verrà spontaneo.

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Una volta completato il disegno basterà ricalcarlo sulla carta da lucido con una matita dalla mina morbida (2b secondo me è l’ideale), girare la carta da lucido sulla gomma da intaglio e ripassare esercitando una pressione su tutta l’area con una pieghetta per la carta o qualunque cosa le assomigli (anche un coltello senza seghetto può andar bene, ma fate attenzione a non tagliarvi!).

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A questo punto potrete passare alla seconda fase del lavoro cioè l’intaglio della gomma. Seguendo le linee del vostro disegno originale con la sgorbia dalla punta più piccola, quella cosiddetta a “v”, intagliate prima i contorni della figura e poi con la sgorbia dalla punta più grande, quella cosiddetta a “u”, eliminate le superfici esterne e interne della gomma, quelle che sono i vostri vuoti, ossia le parti su cui non volete che l’inchiostro si fissi.

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A questo punto bisogna fare delle prove per vedere se ci sono aree del disegno che hanno ancora bisogno di essere limate, pezzetti di gomma che devono essere eliminati, errori che vanno corretti. Con un cuscinetto di inchiostro tamponate leggermente la gomma e timbrate su della carta da disegno. Potrete così esaminare tutti gli eventuali difetti del lavoro e ripassare sui punti critici con le sgorbie.

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Finita la fase di intaglio sciacquate il timbro sotto l’acqua tiepida con un po’ di sapone neutro e lasciatelo asciugare. Una volta che la gomma è asciutta, viene la parte conclusiva e insieme infinita del lavoro: timbrare!

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La scelta della carta e degli inchiostri merita un capitolo a parte. Per quel che riguarda la tecnica posso dirvi che io uso i tamponi di inchiostro piuttosto che il rullo e la vernice, e che utilizzo una pressa per far sì che la gomma aderisca bene alla carta o alla stoffa a seconda del tipo di progetto che ho in mente.

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Vi è stato utile questo post? Spero di sì. Io sono in continua sperimentazione quindi datemi vostre notizie e fatemi sapere se avete dubbi o difficoltà!

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Alla prossima!

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