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Quaderni fai da te: la tecnica base

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Ciao crafters! Eccoci a un nuovo appuntamento per imparare insieme a produrre quaderni fai da te in modo veloce, semplice ed economico. Oggi vi mostrerò tutti i passaggi per ottenere un quaderno fatto in casa con la tecnica della rilegatura dei “four holes”.

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Tutte le misure che vi segnalo in questo post si riferiscono alla realizzazione di un quaderno dal formato classico tascabile dell’A6 (quindi 10,5×14,8 cm). Siccome buona parte degli strumenti da taglio che esistono sul mercato sono in pollici, vi fornirò anche le misure in pollici così da rendervi meno difficoltosa la conversione.

Nel post precedente vi avevo già elencato tutti i materiali di cui abbiamo bisogno per i nostri quaderni fai da te. Oggi invece mi focalizzerò sulla tecnica. Siete pronte?

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1) Innanzitutto scegliete la carta per la copertina. Se siete delle scrappers, potete usare un cartoncino da scrapbooking ma ricordate che deve essere di quelli stampati da tutti e due i lati e che la sua consistenza non deve scendere sotto i 220 grammi. Se non avete a disposizione un foglio di carta da scrapbooking potete anche usare un cartoncino semplice facendo sempre attenzione alla grammatura.

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Una volta fatta la vostra scelta tagliate il cartoncino in modo che abbia queste misure: 15,2×21,7 cm ovvero 6×8 e 1/2 pollici. Poi piegatelo a metà, appiattitelo con il piegacarta e mettetelo da parte.

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2) Secondo step: scegliete la carta per gli interni. Io adoro la carta della Favini, la Rismacqua, perché è liscia ma è da 90 g, quindi è più consistente della carta classica da stampante (che di solito pesa tra i 75 e gli 80 g), e perché la fanno in più colori. Inoltre è FSC, il che vuol dire che proviene da foreste gestite in maniera consapevole e questo, per me che lavoro con la carta, è fondamentale. Un’altra carta che adoro e che viene prodotta in maniera consapevole è quella di Ikea, bianca, porosa e da 100 g, peso che conferisce ancor più struttura al nostro quaderno. Ma se ad esempio vi ritrovate a casa un bloc notes A4 di qualunque tipo, o se avete della carta da stampante riciclata, va benissimo lo stesso. Una volta che avete fatto la vostra scelta, prendete 8 fogli di carta A4, piegateli a metà lungo il lato corto e tagliateli.

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Piegate ancora a metà i 16 fogli che avrete così ottenuto, appiattiteli per bene con il piegacarta e infilateli uno nell’altro.

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Avrete così ottenuto l’interno del vostro quaderno fai da te.

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3) Tagliate l’eccesso laterale di carta. Solitamente quando si rilega un libro o un quaderno, si cuciono insieme più segnature per ottenere un determinato numero di pagine. La “segnatura” è composta da 4 fogli della stessa misura piegati a metà e inseriti uno nell’altro. Ma perché proprio quattro e non sei o otto? Perché 4 è il numero massimo di fogli che una volta piegati a metà e messi uno nell’altro non producono nessun eccesso nella parte esterna rimanendo allineati. Nel nostro caso invece abbiamo ben 16 fogli inseriti uno nell’altro il che produce un certo eccesso laterale di carta che va eliminato.

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Allineate quindi per bene l’interno del vostro quaderno, appoggiate una riga di metallo con la striscia di plastica nella parte inferiore sopra al primo foglio e con un taglierino per la carta iniziate a incidere l’eccesso pian piano, usando la riga come guida, fino ad arrivare all’ultimo foglio.

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4) A questo punto bisogna costruire una guida per poter bucare la carta dei nostri quaderni fai da te. Io ho costruito un “segnabuchi” fatto in casa per sapere dove esattamente bucare i fogli dei miei quaderni A6 rilegati col metodo dei “four holes”. I buchi da fare sono per l’appunto quattro.

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Tagliate una striscia di cartoncino larga più o meno 5 cm o se volete 2 pollici, e lunga 15 cm (ovvero circa 6 pollici) e piegatela a metà nel senso della lunghezza. Apritela e piegatela a metà nel senso della larghezza, poi ancora a metà e poi ancora a metà. Ora dispiegatela tutta. Avrete ottenuto 7 punti di intersezione tra linee verticali e orizzontali. I quattro che vi interessano sono il primo, il terzo, il quinto ed il settimo. Praticate dei fori con il punteruolo in questi 4 punti e avrete ottenuto una “guida” che potrete usare per tutti i vostri quaderni A6.

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5) Prendete l’interno del vostro quaderno, appoggiatevi su una base da taglio, inserite la guida al centro della segnatura e praticate dei fori con il punteruolo da carta tenendo il quaderno ben stretto e aperto a metà. Poi prendete la copertina e fate la stessa cosa usando la stessa guida.

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6) Tagliate del filo cerato o, se non lo avete, del filo da uncinetto, lungo più o meno tre volte l’altezza del vostro quaderno e infilatelo in un ago da lana. Iniziando dal secondo buco da destra, e dall’interno verso l’esterno, iniziate a cucire insieme copertina e segnatura. Una volta finito, fate un nodo al centro della segnatura e tagliate il filo in eccesso.

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7) Ultimo ma non ultimo passaggio, mettete il vostro quaderno in pressa. Se non l’avete, basterà tenerlo per qualche giorno sotto due o tre vocabolari e… il gioco è fatto! I vostri quaderni fai da te sono pronti!

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 Se avete bisogno di chiarimenti sui vari passaggi della lavorazione non esitate a contattarmi e fatemi sapere nei commenti se questo post vi è piaciuto e se vi è stato utile.

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Il prossimo lunedì parleremo di “abbellimenti” e cioè di tutte le tecniche utili per rendere i  vostri quaderni fai da te non solo facili ed economici da realizzare ma anche bellissimi da vedere!

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Separatore-cortoVuoi scegliere come personalizzare il tuo quaderno? Vieni a vedere qui.

 

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Se vuoi, lascia pure un commento: 

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Quaderni fai da te: i materiali

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Ciao crafters! Oggi vorrei inaugurare una nuova serie di post sul mio blog a tema quaderni fai da te e legatoria artigianale di base.

Io adoro i quaderni, per me sono un’ossessione, se poi sono fatti a mano ancora meglio. L’idea di produrne di miei mi ha sempre affascinato e adesso che ho il mio piccolo brand di cartoleria artigianale posso dire che fare quaderni con le proprie mani è un’attività meravigliosa e divertente: ci passerei le ore!

L’idea quindi è quella di condividere con voi tecniche, strumenti e fasi di lavorazione per produrre quaderni fai da te in modo facile, veloce, economico ma soprattutto creativo!

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Oggi partirò subito dai materiali che sono necessari per produrre in casa quaderni fai da te con la tecnica base dei “four holes”, ovvero la rilegatura semplice a quattro buchi con la copertina morbida.

Ci serviranno almeno due tipi di carta, una più leggera (anche la riciclata va benissimo) per gli interni e una più pesante per la copertina. Per quel che mi riguarda la grammatura perfetta della carta per gli interni è 90 grammi (né troppo pesante né troppo leggera), per intenderci quella da stampante ne pesa 80, ma potete scegliere quella che più vi piace, quella che costa meno, quella che vi ispira di più per i vostri quaderni fai da te. Per la copertina invece non scenderei sotto i 170 grammi, altrimenti il vostro quaderno non avrà la consistenza giusta per essere usato comodamente.

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Ci servirà una taglierina a braccio fisso (io uso la Fiskars ma se non l’avete anche un taglierino di quelli che si trovano da Leroy Merlin andrà benissimo); una riga in metallo che abbia una striscia di gomma nella parte posteriore; un ago piuttosto grande, diciamo di quelli da lana; del filo cerato (ma io uso agevolmente anche il filo da uncinetto); un punteruolo (ma possiamo sostituirlo anche con delle punesse); un tappetino da taglio; una pieghetta per la carta (possiamo sostituirla con un coltello senza il seghetto); una pressa per la carta (ma possiamo sostituirla con una pila di libri); un attrezzo per stondare gli angoli (questo è del tutto opzionale).

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Noi in Italia usiamo le misure in cm mentre in America le scrapbookers usano i pollici. Lo standard dei fogli di carta da scrapbooking, che se sono stampati a doppia faccia e se hanno una grammatura consistente sono l’ideale per confezionare quaderni fai da te economici, veloci ma soprattutto deliziosi a vedersi, è di 12×12 pollici, ovvero i nostri 30,48×30,48 cm. La carta che useremo per gli interni invece con tutta probabilità sarà in formato A4, cioè 21,0×29,7 cm. Questo significa che l’interno dei nostri quaderni fai da te, perché siano davvero economici e ci permettano di usare tutta la carta senza sprecarla, sarà nelle misure classiche dell’A5 (14,8×21 cm), dell’A6 (10,5×14,8) o dell’A7 (74×10,5 cm). Probabilmente quindi se useremo della carta da scrapbooking per le nostre cover avremo dei residui che metteremo da parte per altri lavori di scrap, mente se useremo del cartoncino A4 o meglio ancora A3 non avremo nessuno “sfrido”.

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Nel prossimo post vi svelerò passo passo la tecnica base dei “four holes” per ottenere quaderni fai da te semplici e veloci nelle misure standard dell’A5, dell’A6 e dell’A7. Nel frattempo lasciatemi un commento e fatemi sapere se nelle vostre craft room avete tutto l’occorrente per produrre quaderni fai da te!

 

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Timbri fai da te: breve guida alla scelta della carta

Scegliere la carta•••

Ciao crafters! Oggi nel mio blog si parla di timbri fai da te e scelta della carta.

La questione non è affatto scontata e ci sono una serie di variabili da prendere in considerazione quando si inizia a progettare l’incisione di un nuovo timbro in relazione alla carta sul quale lo stamperemo.

Abbiamo fatto una breve panoramica sulla scelta degli inchiostri ma, che siano dye o pigment o chalky ink, la resa dei nostri timbri dipende in buona misura dalla carta che useremo per i nostri progetti.

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Ci sono almeno due fattori che vanno presi in considerazione a priori: la grammatura della carta e la sua texture. Il peso della carta infatti determina in buona misura la riuscita di una stampa impressa a mano. Quanto più leggera sarà la carta che usiamo infatti tanto maggiore sarà la possibilità che l’inchiostro la penetri finendo per trapassarla. Quanto più la carta sarà texturizzata (ossia ruvida o tamburata ma non liscia) tanto maggiore sarà la possibilità che la nostra stampa non abbia contorni netti o campiture piene.

Questo che significa? Che prima di iniziare a progettare un nuovo timbro fai da te dovete pensare bene all’uso che ne farete e al mix di carta e inchiostro con il quale volete stamparlo.

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Se l’idea è quella di ottenere un timbro artistico, molto dettagliato e con una resa molto definita e simile a quella della stampa tipografica, allora useremo della carta bianca (al massimo avoriata), liscia, da non meno di 220 grammi, combinandola con un pigment ink come ad esempio il Versafine.

Se l’idea è invece quella di ottenere un’effetto non troppo definito ma rustico e caldo, allora potremo usare delle carte ruvide, con un peso anche intorno ai 170 g, combinandolo con inchiostri chalky o dye. Tutto cambia ovviamente se le carte ruvide sono scure perché a quel punto dovremo usare per forza degli inchiostri coprenti come i Versamagic.

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Le possibilità sono quindi tantissime e tutto dipende dalle finalità del vostro progetto. Se avete in mente di stampare un mini poster da incorniciare o un biglietto di auguri o la copertina di un quaderno, se avete in mente uno stile più netto e tipografico o più rustico e chalky… le combinazioni inchiostro-carta sono infinite. Quello che mi sento di consigliarvi però è di conservare sempre tutti i ritagli di carta che vi avanzano e di averli a disposizione per “testare” i vostri timbri fai da te una volta che avete finito di intagliarli per vedere “l’effetto che fa” prima di stampare il vostro progetto definitivamente.

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Una parentesi a parte la merita la scelta della carta da acquarello. Questa infatti è la carta più usata per accogliere i timbri fatti a mano poiché è resistente e l’inchiostro non la trapassa (cosa che invece accade con le veline o con le vellum), ma è anche perfetta se alle vostre stampe volete aggiungere dei tocchi di colore con le brush pen a base d’acqua o con gli acquarelli. Il problema è che la maggior parte delle volte è ruvida il che non rende giustizia ai dettagli dei timbri in gomma fatti a mano. Io mi trovo abbastanza bene con la Imagine della Canson da 200 grammi, che è quasi liscia, ma quel “quasi” molte volte mi fa propendere per la Fabriano multipaper da 300 grammi bianca e liscia che si avvicina di più alla mia idea “tipografica” di stampa.

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E voi? Quali sono le vostre esperienze? Quale carta usate di solito per stampare i vostri timbri fai da te? Lasciatemi un commento e alla prossima!

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Timbri fai da te: breve guida agli inchiostri chalky

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Ciao crafters! Oggi nel mio blog vi parlo ancora di timbri fai da te. Dopo aver messo a confronto pigment ink, dye ink a base d’acqua e dye ink non idrosolubili, vorrei proporvi una breve guida agli inchiostri chalky.

Quelli che uso io sono i Versamagic che si trovano facilmente in una varietà enorme di colori prevalentemente chiari. Gli inchiostri chalky infatti sono pensati per essere usati sulla carta scura in modo da ottenere un effetto “gesso su lavagna” molto caratteristico.

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Il tampone degli inchiostri chalky è spugnoso e l’inchiostro è molto denso. Siccome quest’ultimo non penetra nella carta come avviene per i dye ink ma ci si “appoggia sopra” i tempi di asciugatura sono molto lenti. Può essere necessaria anche un’ora prima che la vostra stampa sia davvero pronta. Viceversa gli inchiostri chalky possono essere usati anche sulle carte texturizzate poiché se stesi bene riempiono gli avvallamenti della loro superficie.

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Per la mia esperienza il risultato di stampa dei timbri fai da te che si può ottenere sulle carte scure in certi casi è davvero bello. Non sarà uniforme come con i pigment ink, ma è comunque caratteristico e molto shabby chic. Anche sulle carte chiare l’effetto può essere stupendo anche perché gli inchiostri chalky si possono sfumare uno nell’altro ottenendo gradazioni di colore inedite. Pensate ad esempio a come li usa Bymamalaterre, una delle mie artiste intagliatrici preferite.

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Se siete delle scrapper e usate questi inchiostri con timbri prodotti industrialmente, non dovreste avere problemi. Se invece li usate su timbri fai da te, prestate particolare attenzione alla stesura del colore. Se i solchi che avete tracciato con le sgorbie non sono particolarmente profondi e premete troppo il tampone sulla gomma, rischiate che l’inchiostro, che abbiamo detto è molto denso, li “riempia” completamente rendendo la stampa imprecisa e illeggibile. Per questo io uso gli inchiostri chalky prevalentemente su timbri “vuoti” piuttosto che pieni e stendendo il colore con attenzione senza essere troppo insistente.

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Altra cosa importante, gli inchiostri chalky sono a base d’acqua ma sono anche “pigmented” il che significa che si infilano nella superficie dei vostri timbri fai da te con tenacia. Per eliminarli vi serviranno acqua tiepida e sapone, e in alcuni casi (per le tinte molto scure) un solvente.

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Un esempio di inchiostro chalky su carta scura? I miei quaderni del set da regalo Collezione Gold.

Voi che ne pensate? Avete mai usato degli inchiostri chalky? Raccontatemi la vostra esperienza nei commenti e alla prossima!

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Timbri fai da te: Memento vs Archival, Dye ink a confronto

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Ciao crafters! Oggi sul mio blog ritorno a parlare di tamponi di inchiostro per i timbri fai da te e in particolar modo vorrei mettere a confronto due dei miei Dye ink preferiti, gli Archival della Ranger e i Memento della Tsukineko.

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In inglese la parola “dye” significa letteralmente “tinta, colore” e il verbo “to dye” vuol dire “tingere”. In generale i Dye ink sono a base d’acqua e sono quindi idrosolubili. Per questa caratteristica si distinguono dai pigment ink che sono invece a base oleosa e quindi hanno bisogno di solventi per essere lavati via.

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Secondo questa definizione, i Dye ink per eccellenza quindi sono i Memento. Sono a base d’acqua, senza acidi e sono “fade resistant” il che vuol dire che non sbiadiscono. Inoltre hanno la capacità di asciugarsi in men che non si dica su tutti i tipi di carta (perché ovviamente stiamo parlando di inchiostri adatti ad essere usati solo su carta). Si trovano facilmente nella misura grande ma anche in “teardrop“, dei tamponcini piccoli che consentono di inchiostrare con diversi colori un timbro composito. Sono disponibili in una grande varietà di colori, anche se si tratta soprattutto di tonalità scure, e vanno via dai timbri fai da te con gran facilità, basta anche solo un po’ d’acqua tiepida. Ci sono solo due problemi relativi all’uso dei Memento: per prima cosa sono idrosolubili, il che significa che se volete colorare i vostri timbri in gomma fatti a mano ad esempio con una brush pen a base d’acqua o con degli acquarelli, i contorni della vostra stampa scoloriranno; seconda cosa, se li userete su una carta molto texturizzata, ad esempio quella da acquarello, il colore non sarà pieno (l’inchiostro dei Memento aderisce alla carta solo superficialmente), quindi sono perfetti per la carta liscia e bianca o al massimo avorio ma non sulle carte scure. Inoltre alcuni colori non si distribuiscono uniformemente sulla superficie del timbro ma “a grappolo” il che significa che se li usate per timbri in gomma pieni, non avrete comunque una resa uniforme e chiara della stampa anche se usate una carta liscia.

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Veniamo invece agli Archival. Anche questi sono Dye ink. Il loro tampone è in tela, quindi è asciutto, sono acid free e sono perfetti sulle carte chiare. La differenza con i Memento però è abissale. Innanzitutto gli Archival sono permanenti. È proprio per questo che si chiamano “Archival” perché sono progettati per resistere a lungo. In secondo luogo sono resistenti all’acqua il che significa che potete usarli con gli acquarelli, le brush pen a base d’acqua e gli altri inchiostri a base d’acqua e non scoloriranno. Hanno dei tempi di asciugatura molto lenti e la cosa curiosa è che quando imprimete i vostri timbri fai da te all’inizio vi sembrerà che la stampa non sia uniforme ma granulosa. Se date il tempo però all’inchiostro Archival di asciugarsi, otterrete uno splendido effetto “matte”, uniforme e bellissimo da vedere sulle carte lisce ma altrettanto soddisfacente sulle carte granulose. Anche gli Archival si trovano facilmente sia nei formati grandi che piccoli e la differenza con i memento la fa Wendy Vecchi, la designer della Ranger che ha progettato questi inchiostri e ha scelto le tonalità di colore in cui sono prodotti che sono stupende! Unico neo il fatto che una volta asciutti gli Archival hanno un odore non troppo piacevole (diciamo pure invadente) probabilmente dovuto alle sostanze che li rendono permanenti, e che una volta usati rimarranno attaccati alla superficie dei vostri timbri in gomma fai da te come delle cozze, quindi hanno bisogno di essere lavati via con dei solventi (non basta il sapone per le mani).

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Ho adoperato l’inchiostro Archival per preparare i Biglietti di Auguri collezione “Gingko Leaves”. Vieni a vedere!

Insomma, per i timbri fai da te “pieni” io preferisco in assoluto gli Archival. L’effetto è meraviglioso e i colori disponibili sono tantissimi. Ma resto affezionata ai miei Memento per i timbri “vuoti” e anche per il fatto che sono lavabili e non intaccano la superficie della gomma da intaglio.

Voi cosa ne pensate? Come vi trovate e quale Dye ink preferite? Se volete condividere con me la vostra esperienza lasciatemi un commento!

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Timbri fai da te: Versafine vs Memento, inchiostri neri a confronto

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Ciao crafters! Questo è il primo post di una serie dedicata alla scelta degli inchiostri da usare con i timbri fai da te. Ho iniziato con gli inchiostri neri perché il nero è un colore fondamentale e che useremo sempre sia per le scritte che per gli ornamenti, sia per le figure piene che per quelle scontornate, sia sulle carte lisce che su quelle ruvide, insomma è un evergreen.

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La scelta del nero non è così facile come sembra e cambia in base a molte variabili: l’effetto che vogliamo ottenere, i tempi di asciugatura della stampa, la carta che usiamo, il tipo di lavorazione che abbiamo in mente quando progettiamo di incavare dei timbri fai da te.

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Possiamo dire che gli inchiostri si dividono in due principali categorie: i Dye ink e i Pigment ink. I primi sono a base d’acqua e hanno un’asciugatura molto rapida mentre i secondi sono a base oleosa e non sono solubili con l’acqua. Io ho messo a confronto due degli inchiostri neri che preferisco: Memento e Versafine. Entrambi si trovano facilmente su Amazon sia nelle taglie normali che nei cosiddetti teardrop, tamponi più piccoli e maneggevoli (che io preferisco) che consentono di distribuire l’inchiostro anche nei punti più difficili con un maggior controllo.

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Già a partire dalla consistenza del tampone di inchiostro si può percepire la differenza tra Dye e Pigment ink. Se osservate il tampone dell’inchiostro nero Memento, vi accorgerete che è asciutto e che assomiglia a una stoffa. Quando tamponate il vostro timbro l’inchiostro non si stende uniformemente e il nero non è profondo. Dopo che avrete stampato vi basterà sciacquare il vostro timbro con l’acqua e vi accorgerete che la gomma rimarrà pulita. Essendo il Memento un inchiostro a base d’acqua non potrete colorare le figure stampate con gli acquarelli né con brush pen a base d’acqua. L’incredibile qualità degli inchiostri Memento e in generale dei Dye ink però è che asciugano in un lampo, specialmente sulla carta liscia opaca, e il loro effetto non è assolutamente da sottovalutare. Purtroppo se li usate invece su della carta texturizzata, a partire dalla carta per acquarello fino ad arrivare a quella da scrapbooking, i dettagli dei vostri timbri fai da te si perderanno inevitabilmente, e otterrete un effetto “chalky” che non sempre è quello che avete in mente.

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Il tampone dei Pingment ink invece è spugnoso e ricco di inchiostro. Il nero è profondo ed ha una consistenza oleosa. Io uso il Versafine perché lo trovo molto ricco e intenso. Quando tamponate i vostri timbri fai da te con questo inchiostro la superficie viene ricoperta in modo uniforme da uno strato di inchiostro denso. La stampa risulterà piena e vivida e tutti i dettagli (errori eventuali compresi) del vostro intaglio saranno ben visibili. Sulla carta liscia è il massimo e sulla carta texturizzata, compresa quella da acquarello, l’effetto è buono. L’unico problema è che questo tipo di inchiostro non verrà mai eliminato del tutto dalla plastica del vostro timbro anche se lo lavate accuratamente con acqua e sapone. Col passare del tempo i residui del Versafine intaccano la superficie dei timbri in gomma intagliati a mano e li rendono appiccicosi, li rovinano. Quindi abbiate in mente che se usate un Pigment ink dopo un certo numero di stampe e dopo un certo tempo dovrete buttare la matrice e intagliarla di nuovo. I tempi di asciugatura del Versafine sono più lenti rispetto al Memento ma comunque molto veloci (stiamo parlando di minuti e non di ore) e il nero è perfetto per i timbri “vuoti” ma anche con i pieni ha una resa favolosa. Guardate ad esempio le opere d’arte che intaglia Viktoria Astrom e ditemi se l’effetto del Versafine non è favoloso sulla carta liscia!

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Insomma avrete capito che tra Dye e Pigment ink, per quel che riguarda gli inchiostri neri, io sono assolutamente a favore del secondo. Voi cosa ne pensate? Qual è la vostra esperienza? Avete altri inchiostri neri tra i vostri preferiti? Lasciatemi un commento e alla prossima!

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Timbri fai da te: Speedball vs Dick Blick gomme a confronto

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Ciao crafters! Oggi torno sul blog con un nuovo articolo sui timbri fai da te.

Si dà il caso infatti che mia sorella sia stata in America per lavoro questa estate e mi abbia portato una discreta quantità di una delle gomme da intaglio più usate da chi produce timbri artistici con la tecnica della linoleografia.

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Sto parlando della famosa Ready cut, la gomma prodotta da Dick Blick, uno dei negozi d’arte più famosi e diffusi degli States. Io di solito per i miei timbri fai da te uso la Speedy carve della Speedball perché è quella con cui mi trovo meglio e anche perché si compra molto facilmente su Amazon (tra l’altro i prezzi ultimamente sono anche scesi) ma ero curiosissima di provare la Ready cut perché l’ho vista usare alle mie intagliatrici preferite tra cui Aftyn Shah, in arte Rise+Wander, che con questa gomma produce delle vere e proprie opere d’arte.

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Be’, le ho messe al confronto e… siete pronte per sapere cosa ne penso?

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Le due gomme sono diversissime tra loro. La Ready cut ha uno spessore di circa 5 millimetri e ha uno strato superficiale grigio (di circa un millimetro) appoggiato su un corpo bianco più sostanzioso.

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La Speedy carve invece è alta circa 7 millimetri, è morbida e ha un colore uniforme.

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La superficie della Ready cut è ruvida e piuttosto dura da incavare quando si preparano dei timbri fai da te ma soprattutto, quando si cerca di incidere dei dettagli molto piccoli, si sfalda producendo dei residui polverosi difficilissimi da eliminare. D’altra parte viene venduta in blocchi anche molto grandi (fino a 31×46 cm) cosa che consente di mettere in lavorazione dei veri e propri artwork.

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La Speedy carve invece quando la si intaglia non si sbriciola e non lascia residui. Si riesce a dettagliare l’immagine con incisioni piccolissime. E anche se essendo tutta dello stesso colore non aiuta a capire bene la profondità del solco lasciato dalla sgorbia, rimane in assoluto la mia preferita, non si batte.

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E voi che ne pensate? Avete mai provato la Ready cut per i vostri timbri fai da te? Raccontatemi la vostra esperienza e ci ritroviamo presto con un nuovo articolo sui timbri in gomma fai da te.

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Settembre: Etsy, Instagram e tante novità

Ed eccoci arrivate a Settembre, mese di bilanci e programmazioni. Per me ci sono tante novità in vista, novità che voglio condividere con voi perché rappresenteranno una sfida con la mia creatività e con la mia perseveranza.

Come molte di voi sapranno la piattaforma italiana A Little Market su cui avevo scelto di aprire il mio shop è stata acquisita dalla più grande e internazionale Etsy. Per me organizzare il negozio e iniziare a presentare le mie creazioni artigianali è stata una sfida e mi sono ritrovata, solo dopo pochi mesi, a ricominciare tutto da capo in una piattaforma diversa, nella quale c’è molta più concorrenza. Mi spaventava molto all’inizio, ma mi sono ripromessa di rimboccarmi le maniche e andare incontro a questo cambiamento con spirito positivo e accoglierlo come un’opportunità. Così mi sto dando da fare per curare il mio nuovo negozio e progettare una nuova collezione di prodotti per Etsy (che includerà anche pdf e printables) pensata anche per un target internazionale.

L’altro fronte su cui sto lavorando con perseveranza è il mio profilo Instagram, che è senz’altro il mio social d’elezione. Scegliere con cura gli aspetti cromatici e compositivi di ogni post, lavorare con calma e dedizione piuttosto che d’istinto, guardarmi intorno per cogliere i particolari che mi colpiscono, mi sta aiutando a capire meglio me stessa e ciò che desidero comunicare agli altri. E questo mi fa sentire più completa, soddisfatta, anche se la meta è ancora lontana e il futuro tutto da costruire.

Anche il blog si arricchirà a breve di nuove sezioni. Continuerò a postare approfondimenti riguardanti i timbri in gomma fai da te e le tecniche di stampa a mano ma, visto che in questi mesi ho sviluppato una passione smodata per l’handlettering e le penne da calligrafia, vorrei condividere con voi le mie esperienze in materia. Ogni mese ci sarà la recensione di un libro che mi ha particolarmente ispirata e continuerò a riflettere sulla difficile arte di conciliare maternità e lavoro.

Insomma si tratta di una montagna di cose nuove tutte governate dalla mia parola chiave del 2017 che, come dicevo, è perseveranza.

E voi? Quali sono i vostri programmi per l’autunno?

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Recensione: Una mamma green

Questa è la prima recensione che pubblico sul mio sito. Per me è un momento importante perché in questo modo riprendo a fare quello che è stato in un certo senso il mio lavoro per tanti anni ossia consigliare la lettura di un libro agli altri.

Come scegliere da dove partire? Diciamo pure che non ho avuto dubbi.

Appena ho saputo che era stato pubblicato ho pensato che il libro di Silvana Santo, Una mamma green (Giunti, 2017), doveva essere mio.

Il blog di questa giornalista partenopea è per me la quintessenza di quello che un blog dovrebbe essere: parla dritto al cuore, è scritto in un italiano favoloso e genera riflessioni. Io che solitamente faccio una fatica enorme a “leggere on line”, quando c’è un nuovo post della mammagreen mollo tutto e, ovunque mi trovi, mi fermo e lo divoro perché la totalità delle volte dentro ci trovo una parte di me stessa. È uno specchio dentro cui vedo il mio modo di intendere la maternità e mille altre questioni.

E lo stesso discorso vale anche per il suo libro.

Sebbene io non sia un’ecologista integralista (cerco di fare del mio meglio ma a volte ammetto di cedere alle lusinghe del capitalismo ecomostruoso), Una mamma green mi ha aperto nuovi orizzonti.

[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]Peccato non averlo letto mentre ero in gravidanza… Mi sarei risparmiata anni di coppette assorbilatte usa e getta e pannolini ad alto impatto ambientale. Avrei avuto qualche strumento in più per leggere consapevolmente le etichette di creme lenitive, oli e unguenti. Avrei imparato a fare un decluttering consapevole.

[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]Ma soprattutto mi sarei sentita confortata all’idea che al mondo esiste qualcun’altra oltre me che ha il coraggio di allattare al seno il proprio bambino fino ai due anni e portarlo addosso in fascia nonostante la mentalità comune secondo cui quando lo fai stai perversamente “viziando” il tuo piccino.

[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]Qualcun’altra che non ha paura di ammettere che dormire insieme ai propri figli piccoli in uno stesso grande letto (il cosiddetto cobedding) non è una pratica triviale ma una cosa meravigliosa.

[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]Qualcun’altra che non usa gli omogeneizzati ma nutre i propri bambini in modo consapevole e secondo la stagionalità di prodotti preferibilmente a chilometro zero.

[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]Qualcun’altra che ammette che l’amore materno non è un sentimento dato, immediato, compatto e cristallino ma si costruisce nel tempo e soprattutto nella relazione con i propri figli, che sono altro da noi, delle “piccole persone, dotate di temperamento, preferenze, attitudini precise e peculiari, di una consapevolezza disarmante”.

[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]“Diventare genitore ti cambia per sempre, non solo perché ti conferisce una responsabilità definitiva e grandissima, ma perché ti mette in relazione con degli esseri umani che prima non conoscevi, che addirittura non esistevano. […] Diventare genitore è un viaggio senza ritorno nella verità”.

[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]E quindi: leggete Una mamma green, seguite il blog di Silvana Santo. Ne vale davvero la pena. Le sue parole sono un toccasana per l’anima![vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]

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Un penny tutto per sé

Come diceva Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé:

 

«Making a fortune and bearing thirteen children – no human being could stand it. Consider the facts, we said. First there are nine months before the baby is born. Then the baby is born. Then there are three or four months spent in feeding the baby. After the baby is fed there are certainly five years spent in playing with the baby. […] If Mrs Seton, I said, had been making money, what sort of memories would you have had of games and quarrels? […] But it is useless to ask these questions, because you would never have come into existence at all. Moreover, it is equally useless to ask what might have happened if Mrs Seton and her mother and her mother before her had amassed great wealth and laid it under the foundations of college and library, because, in the first place, to earn money was impossible for them, and in the second, had it been possible, the law denied them the right to possess what money they earned. It is only for the last forty-eight years that Mrs Seton has had a penny of her own»1.

Ecco, quando ho letto questo saggio per la prima volta ero all’Università e da scrittrice in erba mi concentravo sulla parte romantico-femminista della storia: una donna, per scrivere capolavori, ha bisogno di una stanza tutta per sé.

 Adesso, vent’anni dopo l’Università e quattro anni dopo aver avuto una figlia, ho realizzato (nonostante esistessero già svariate querelle femministe sull’argomento) che in Una stanza tutta per sé Virginia Woolf parla anche di maternità. E in sostanza questa donna, che ha vissuto agli inizi del Novecento, non fa che dire una cosa verissima: «Far fortuna e dare alla luce tredici figli – nessun essere umano ce la può fare». Al di là del fatto che nella società occidentale, nella classe medio-borghese, al momento è abbastanza raro che una donna faccia tredici figli, trovo che in questa frase siano comunque racchiusi i due scabrosi elementi cardine della vicenda: “fare soldi” e  “fare figli”. Due cose di cui un essere umano può o non può occuparsi contemporaneamente? Ed ecco che nella mia testa le parole “a room of one’s own” si trasformano a un tratto in “a penny of her own”.

 Una volta parlavo con un amico, forse dieci se non dodici anni fa, e devo avergli detto qualcosa come: «Se una donna non è economicamente autosufficiente come fa a scrivere? Bisognerebbe avere dei soldi per non dover lavorare e dedicarsi anima e corpo alla scrittura». Mi ricordo che la cosa lo colpì e mi rispose qualcosa come: «Ma stai davvero parlando di soldi?». All’epoca lavoravo in una libreria di catena per potermi mantenere e mi sembrava di dedicare alla scrittura davvero troppo poco tempo.

 A pensarci adesso mi fanno riflettere due cose.

 La prima è quanto sia cambiata, dopo aver avuto una bimba, l’idea di “dedicare troppo poco tempo a qualcosa” al di fuori di lei. «Consider the facts», diceva la Woolf, «Consideriamo i fatti» (e si badi bene, qui si parla di «fatti», non di «opinioni»):

«First there are nine months before the baby is born. Then the baby is born. Then there are three or four months spent in feeding the baby. After the baby is fed there are certainly five years spent in playing with the baby».

Insomma secondo la Woolf per poter arrivare ad avere del tempo per sé (e quindi per poter tornare a lavorare e conseguentemente guadagnare diremo noi), una mamma deve aspettare almeno cinque anni a bambino, poiché in quei cinque anni il suo ruolo è essenziale, deve stare insieme a lui, deve nutrirlo fisicamente («to feed the baby») e poi spiritualmente («play with the baby»). E qui non ci sono santi. Non ci sono sostituti. Queste cose, secondo Virginia Woolf, le deve fare la mamma, punto e basta.

La seconda è che la questione del rapporto tra soldi e donne è e rimane cruciale. Non l’abbiamo risolta, manco per niente. Nel 1928 Virginia Woolf diceva:

«It is only for the last forty-eight years that Mrs Seton has had a penny of her own».

Adesso, il fatto che una donna medio-borghese occidentale lavori e abbia dei soldi propri ci sembra una cosa abbastanza scontata dal punto di vista sociale (disoccupazione a parte), voglio dire non sembra una cosa scandalosa e fuori luogo o peggio «denied by law». Ma io credo che sia ancora maledettamente faticosa se quella donna ha dei figli.

 Che ne pensate? Non vedo l’ora di confrontarmi con voi su questo argomento.


 1) V. Woolf, A room of one’s own, Penguin, Londra, 2004, pp. 25-26.